martedì 25 ottobre 2011

Dalla letteratura al cinema

Per la rassegna dalla letteratura al cinema, venerdì 28 ottobre presso la scuola elementare di Pietrelcina proietteremo Ogni cosa è illuminata di Liev Schreiber (2005)
Est/Ovest – il road-movie – la shoah – la memoria – la Storia. Sembrerebbe troppo facile scadere nei clichè eppure “Ogni cosa è illuminata” riesce con eleganza a raccontare la storia del viaggio che porta il protagonista dall'America all'Ucraina sulle tracce della donna che salvò suo nonno durante la II guerra mondiale. Ad accompagnarlo attraverso il Paese c'è Alex, un giovane tanto diverso quanto simile a Jonathan, e suo nonno. Il romanzo d'origine è dell'allora esordiente Jonathan Safran Foer e la storia raccontata è in parte la sua, il libro è infatti il frutto del viaggio che nel '99 Foer compì per scoprire le sue origini. Il libro è faticoso, tradotto in italiano alla maniera di uno straniero che si esprime come può, con piani temporali distanti accostati l'uno all'altro senza una costruzione narrativa che ne giustifichi del tutto il senso. Il lettore non si appassiona, si annoia. Nel film, invece, attraverso il ricordo, il flash back, passato e presente si compenetrano; i registri diversi alleggeriscono il tema come qua e là il motivetto folk o classico serve a rallegrare o commuovere. L'esordiente Schreiber sa dosare ed equilibrare tempi e modi del racconto e la fotografia di Mattew Libatique (Il cigno nero, Requiem for a dream), come al solito eccellente dà molto al film.
Attraverso una metafora fin troppo chiara, che continuamente mostra la dialettica tra luce-oscurità ed il contrasto tra vista e cecità, il film invita a guardare veramente le cose, a guardare il presente attraverso il passato. Il leit-motiv della trama è appunto la necessità di non dimenticare e il protagonista Jonathan si fa in un certo senso simbolo della cultura ebraica, in un viaggio che è naturalmente scoperta di sé e dell’Altro.

domenica 23 ottobre 2011

1927. Nasce il cinema sonoro

venerdì 21 ottobre 2011

Der Letze Mann. 1924

mercoledì 19 ottobre 2011

Meshes of the afternoon. Maya Deren

Un jour Pina m’a demande. Chantal Akerman

Ascensore per il patibolo. Louis Malle

martedì 18 ottobre 2011

Max Reinhardt, A Midsummer Night's Dream. Premio Oscar 1936

Estratti di Phantom (Murnau) 1922

lunedì 17 ottobre 2011

Schatten. 1923

Trasposizioni. Madame Bovary

Il testo di partenza è solo una minima parte del film, è la regia a fare l’adattamento. Ecco un esempio di come il romanzo di Gustave Falubert del 1856 giunga ad avere esiti diversissimi: da Jean Renoir che ne fa un’ottima ricostruzione d’epoca a Vincente Minnelli che incornicia il romanzo nella storia del processo a Flaubert, dal (per fortuna) dimenticato Schott-Schobinger che ne fa un filmaccio soft-porno al superbo Sokurov che gira una tragedia filosofica sul dramma dell’amore a Chabrol che ne mantiene intatta la bellezza figurativa.









domenica 16 ottobre 2011

Sicilia! Straub-Huillet

Visioni

To be or not to be

Il teatro si rivela l’ancora di salvezza nella commedia di Lubitsch sul nazismo del 1942. Le riflessioni sulla storia lasciano il campo alle riflessioni sullo spazio teatrale.


mercoledì 12 ottobre 2011

Teatro e cinema. L’ultimo metrò

Il teatro è un luogo di sospensione, sottratto alle regole del quotidiano e dove la finzione e l'artificio, secondo un topos ben codificato, hanno lo scopo, però, di svelare la realtà o di reinterpretarla e riscriverla. Ne L’ultimo metrò il teatro è prima uno spazio utopico al di fuori della storia, e poi il luogo dove prende forma la Resistenza.

1934

Lyda Borrelli - la femme fatale del cinema muto

Il cinematografo dopo i primi passi, saccheggiando tutta l'anticaglia del teatro di prosa, s'impadronì anche dei suoi ruoli antiquati, e si affezionò particolarmente alla “seconda donna”, denominandola “donna fatale” perché si prestava a meraviglia ad appassionare la folla. E ne aggravò i difetti. Le attrici cinematografiche, dal canto loro, calcano ancora più le tinte del personaggio, comportando esso l’esagerazione della femminilità, il fasto delle vesti, l’ostentazione della vanità. Quando sullo schermo si presenta la “donna fatale”, voi la riconoscerete fra cento personaggi, i quali, sol ch'ella si degni di guardarli rimangono fulminati d'amore. Perfino la macchina da presa pare colpita dal suo fascino, tanto s'indugia a presentarcela nei più svariati atteggiamenti. Chi non ricorda quei primi piani in cui gli occhioni a mandorla della diva roteano, si socchiudono, s'illanguidiscono e pare che vogliano calamitarvi il cuore. A.Giovannetti, Figure mute

lunedì 10 ottobre 2011

Dal muto al sonoro

"Ora, dare meccanicamente la parola alla cinematografia non rappresenta mica un rimedio...ogni illusione di realtà sarà perduta:
perché la voce è di un corpo vivo che la emette, e nel film non ci sono i corpi degli attori come a teatro, ma le loro immagini fotografate in movimento;
perché le immagini non parlano: si vedono soltanto; se parlano, la voce viva è in contrasto insanabile con la loro qualità di ombre e turba come una cosa innaturale che scopre e denunzia il meccanismo;
perché le immagini nel film si vedono muovere nei luoghi che il film rappresenta: una casa, un piroscafo, un bosco, una montagna, una vallata, una via, fuori perciò sempre, naturalmente, dalla sala dove il film si è proiettato; mentre la voce suona sempre dentro la sala presente, con un effetto, anche per questo, sgradevolissimo d’irrealtà". L.Pirandello 1929

sabato 8 ottobre 2011

I Taviani andata e ritorno

Giovanna Taviani, figlia di Vittorio, era la bambina che, con la madre e le sorelle, veleggiava verso Malta, per raggiungere il padre in fuga dalle persecuzioni dei Borboni, nel film “Kaos”. La tartana di Figliodoro, un pescatore delle Eolie, sostava per farli riposare a Lipari e permettere ai bambini di scivolare giù dalle bianche discese di pomice. Anni dopo, a capo di una piccola troupe, Giovanna chiede nuovamente a Franco “Figliodoro” di accoglierla sulla stessa barca e di portarla a ripercorrere le soste che la storia del cinema ha fatto alle isole Eolie e le storie, vere, che lì sono accadute, quasi come in un film.
Fughe e Approdi narra perciò della fuga dei cavatori di pomice per difendersi dalla silicosi, ma anche della fuga di Emilio Lussu e Carlo Rosselli dal confino in cui li teneva il regime fascista, dell’approdo degli sposi per conoscere le mogli sposate per procura, di quello dignitoso e disperato di Anna Magnani a Vulcano, per girare con Mieterle, mentre l’uomo della sua vita era nella vicina Stromboli con Ingrid Bergman, dell’approdo e della fuga di Edda Ciano, che durante i giorni del confino visse un tenero amore con un comunista del luogo.
Documentario nel senso puro del termine, fatto di osservazione e di interviste, di paesaggi e di coinvolgimento personale dichiarato ma non insistito, il film si fa vivo e impuro al contatto con gli spezzoni di finzione che lo punteggiano e che sono firmati Rossellini, Antonioni, Taviani, Mieterle, Troisi, Moretti. Non manca, infine, l’omaggio a De Seta e ai film della Panaria, che per primi portarono la macchina da presa sulle isole vulcaniche, e tracciarono –anche a beneficio della Taviani, oggi- il sentiero del documentario in quei luoghi. (Fonte Mymovies.it)



1964