Great Expectations goes to Hollywood. La rilettura di un classico da Lean a Cuarón
Tra gli innumerevoli adattamenti cinematografici di Great expectations, uscito a puntate sull’All the year round tra il 1860 e il 1861, le due versioni di David Lean (1946) e di Alfonso Cuarón (1998) rappresentano, in maniera emblematica, due modi opposti di rileggere un’opera letteraria.
La motivazione principale, e forse fin troppo ovvia, è da rintracciarsi nella distanza temporale che separa i due adattamenti e nel differente retroterra culturale da cui provengono i registi. Lean è un inglese che legge un autore fondamentale della propria cultura, all’indomani della fine della II guerra mondiale; Cuarón è un messicano che legge un romanzo inglese per un pubblico hollywoodiano, a lui contemporaneo. Il primo proviene da quello che può definirsi un cinema “classico”, in cui l’adattamento equivale ad una risposta quanto più fedele all’originale, il secondo si situa in pieno postmodernismo cinematografico.
Accade, dunque, ciò che Linda Hutcheon ha definito con il termine di “indigenization” (Hutcheon 2006: 148). I testi narrativi, come nel processo di adattamento genetico degli organismi biologici, hanno bisogno, infatti, di trasformarsi, adattandosi alle mutate condizioni d’ambiente culturale e temporale (Ibid.: 31).
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Between vol. 2, N°4 L'adattamento: le trasformazioni delle storie nei passaggi di codice
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