martedì 26 marzo 2013
Vampyr (1932)
"Immaginiamo di essere seduti in una stanza qualunque. A un tratto ci dicono che c'è un cadavere dietro la porta; e subito la stanza si trasforma completamente. Tutto in essa ha cambiato aspetto: la luce, l'atmosfera sono mutate pur essendo fisicamente le stesse. Perché noi siamo cambiati, e gli oggetti sono quali noi li vediamo. Ecco l'effetto che voglio ottenere nel mio film" C.T. Dreyer
giovedì 14 marzo 2013
L'opera di Pirandello nell'ottica dei vari convegni
Il volume raccoglie la storia di 50 anni di convegni del Centro Nazionale di Studi Pirandelliani, raccontati attraverso saggi e testimonianze di quanti ne hanno fatto parte.
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lunedì 11 marzo 2013
Quijote. La terra desolata di Mimmo Paladino
[...] L’operazione di Mimmo Paladino, interessato ad esplorare le possibilità del mezzo cinematografico, si introduce a metà strada tra il “cinema d’avanguardia”, lontanto dalle logiche di mercato del cinema commerciale, e il “cinema d’artista”. Non a caso anche quando cita consapevolmente altri film li sceglie all’interno di un cinema autoriale: evidenti sono i richiami a Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet, 1957) di Ingmar Bergman e al Che cosa sono le nuvole? (episodio del film collettivo Capriccio all’italiana, 1967) di Pier Paolo Pasolini. Il modello principale che Paladino intende seguire è, però, quello di Andrej Tarkvoskij e del cinema come “scultura di luce”. Con l’aiuto di Cesare Accetta, già lighting designer per l’illuminazione delle sue opere artistiche in musei e gallerie e per le scenografie di spettacoli teatrali, Paladino gira il film con la tecnica di ripresa video-digitale nei tre colori primari RGB, in modo da ricreare le profondità e i volumi su un piano bidimensionale. Ne viene fuori un “poema visivo”, come lo ha giustamente definito Enzo Di Martino. Nelle note di regia Paladino ha precisato l’intenzione pittorico-visiva della sua trasposizione: "Ho sempre pensato che un film non si sostituisca alla pittura, non vi si sovrapponga, è semplicemente un’altra cosa. Nello stesso tempo però se guardi nell’obiettivo, nel rettangolo della macchina da presa puoi immaginare che quello sia lo spazio della tela".
Leggi su Cinergie. Il cinema e le altre arti
domenica 10 marzo 2013
giovedì 7 marzo 2013
L'ultimo pastore (2012) di Marco Bonfanti
Si può documentare la fantasia? Ha forse voluto rispondere a questa domanda Marco Bonfanti, giovane e talentuoso regista, girando L'ultimo pastore. Rivolgendosi solo in parte al genere documentario, Bonfanti ci impone, fin dal principio, il suo sguardo che, manco a dirlo, coincide con quello dei bambini di Milano che non hanno mai visto un pastore. I piccoli fanno ricorso alla propria immaginazione e alle poche notizie in loro possesso per disegnare (non solo letteralmente) questa misteriosa figura. Nelle inquadrature iniziali sembra di trovarsi davanti ad un orco delle favole più che ad un pastore, che ci apre le porte della sua caverna. Bonfanti ci fa seguire i suoi passi, i suoi gesti, indugia su alcuni dettagli lasciando per un po' fuori campo il suo volto fino a farlo presentare al suo pubblico: “Mi chiamo Renato Zucchelli e faccio il pastore”. Inizia da qui la storia dell'ultimo pastore nomade di Milano. Durante un intero anno dalle montagne alle strade cittadine, dall'inizio alla fine della scuola si dipana la storia di questa resistenza della natura contro la città. Zucchelli cita Celentano e la paura che il verde venga soppiantato dal cemento, racconta dell'antica lingua dei pastori, il gaì, ormai parlato da pochissimi, del suo socio Piero Lombardi, inquietante personaggio che parla con un cane immaginario e ci presenta la sua famiglia, una moglie e quattro figli.
Ma il film racconta molto di più: l'autenticità di una vita secondo natura di contro all'urbanesimo e al consumismo, il centro cittadino e le periferie degradate, il multiculturalismo e l'integrazione. Bonfanti ha avuto la capacità di raccontare, con la semplice storia di un pastore, Milano e l'Italia, senza mai cadere nella retorica e soprattutto l'ha fatto con delle semplici inquadrature, scegliendo di guardare e di farci guardare determinate cose. Il Cinema, appunto!
La musica in funzione narrativa regala dei forti picchi emotivi, che sia Daddy Lollo dei Figli di Madre ignota o che sia Chopin, o ancora le suggestive e splendide composizioni di Danilo Caposeno o Il pastore di nuvole di Luigi Grechi le immagini acquistano una forte valenza simbolica. Finito il film ci resta l'immagine di Renato e Piero, quasi moderni Don Chisciotte e Sancha Pancha, ci restano le 700 pecore che invadono le strade cittadine, ci resta il sogno di un mondo diverso, a cui qualcuno potrà, forse, dare forma.
martedì 5 marzo 2013
Il Cinema per Marguerite Duras
"Faccio film per occupare il tempo. Se avessi il coraggio di non fare niente, non farei niente. È perché non ho il coraggio di non occuparmi di niente che faccio film. Per nessun altro motivo. Questa è la cosa più vera che posso dire su quello che faccio". Marguerite Duras
sabato 2 marzo 2013
Aspettando Marco Bonfanti a Benevento
Ultimo appuntamento della III edizione del Mulino del Cinema. Incontro con Marco Bonfanti, proiezione de L'ultimo pastore. Sabato 9 marzo, Mulino Pacifico 18.30
Marco Bonfanti nasce a Milano il 9 agosto del 1980.
Consegue la laurea in Scienze dei Beni Culturali con la
tesi dal titolo: “La televisione nel Cinema: da Quinto
Potere di Sidney Lumet a Ginger e Fred di Federico Fellini”.
Durante il periodo degli studi universitari, lavora a titolo
gratuito su alcuni set cinematografici e
contemporaneamente frequenta a Milano un laboratorio
intensivo di regia teatrale che culmina nel 2007, con la
messa in scena de "La Tempesta" di Shakespeare presso
il teatro"Spazio No'hma"di Milano.
Nel 2008 termina la regia del cortometraggio amatoriale dal titolo
“Le Parole di Stockhausen”, costato solamente sei euro.
Il piccolo lavoro viene incredibilmente preselezionato al Festival di Cannes.
Nello stesso anno lavora presso il "Teatro Franco Parenti" di Milano come
relatore culturale nella rassegna "Racconto Italiano", ideata e coordinata
da Andrée Ruth Shammah.
Nel 2009 scrive e dirige il corto / mediometraggio “Ordalia (dentro di me)”,
una piccolissima produzione in digitale inaspettatamente selezionata in oltre
cinquanta festival tra nazionali e internazionali, tra i quali gli importanti
"Independent Days" in Germania, il “Portobello Film Festival” a Londra e
l' "Istanbul International Film Festival" in Turchia. Il piccolo film viene anche
trasmesso in televisione e vince undici premi nazionali. Si tratta di una storia
semi autobiografica in cui un'adolescente, divorata dai sensi di colpa, si rivolge
a Dio per cercare di fermare l'imminente morte di suo padre.
Il 1° ottobre 2011, per la realizzazione di una scena del suo lungometraggio
d'esordio,"L'Ultimo Pastore", porta un gregge di oltre settecento pecore in
Piazza del Duomo a Milano.
Una notizia che ha fatto il giro della stampa nazionale e internazionale.
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