lunedì 11 marzo 2013

Quijote. La terra desolata di Mimmo Paladino


[...] L’operazione di Mimmo Paladino, interessato ad esplorare le possibilità del mezzo cinematografico, si introduce a metà strada tra il “cinema d’avanguardia”, lontanto dalle logiche di mercato del cinema commerciale, e il “cinema d’artista”. Non a caso anche quando cita consapevolmente altri film li sceglie all’interno di un cinema autoriale: evidenti sono i richiami a Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet, 1957) di Ingmar Bergman e al Che cosa sono le nuvole? (episodio del film collettivo Capriccio all’italiana, 1967) di Pier Paolo Pasolini. Il modello principale che Paladino intende seguire è, però, quello di Andrej Tarkvoskij e del cinema come “scultura di luce”. Con l’aiuto di Cesare Accetta, già lighting designer per l’illuminazione delle sue opere artistiche in musei e gallerie e per le scenografie di spettacoli teatrali, Paladino gira il film con la tecnica di ripresa video-digitale nei tre colori primari RGB, in modo da ricreare le profondità e i volumi su un piano bidimensionale. Ne viene fuori un “poema visivo”, come lo ha giustamente definito Enzo Di Martino. Nelle note di regia Paladino ha precisato l’intenzione pittorico-visiva della sua trasposizione: "Ho sempre pensato che un film non si sostituisca alla pittura, non vi si sovrapponga, è semplicemente un’altra cosa. Nello stesso tempo però se guardi nell’obiettivo, nel rettangolo della macchina da presa puoi immaginare che quello sia lo spazio della tela".

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